Francesca De Angelis

Uno sguardo all'autore

Massimo Bignardi è docente di Storia dell’arte contemporanea e di Arte ambientale e architettura del paesaggio presso l’Università di Siena ove ha diretto, per diversi anni, la Scuola di Specializzazione in Beni storico artistici. Sull’argomento di recente ha pubblicato i volumi Praticare la città. Arte ambientale, prospettive della ricerca e metodologie d’intervento (2013) e Casciello. I “luoghi” dell’arte (2015) e ha collaborato alla raccolta di saggi Arte, città, territorio (2016).

IRRUENTI LUMINOSITA'

Massimo Bignardi presenta e descrive la pittura della De Angelis

Il dato che maggiormente connota le ultime esperienze di Francesca De Angelis è la capacità di aver affidato ad  una tavolozza ristretta a pochi colori il compito di costruire spazi profusi da un’intensa luminosità. Registri cromatici dettati da una sintassi che attinge a piene mani da sollecitazioni espressionistiche, decisamente di memoria fauve, ove il colore risponde a sollecitazioni ottico-sensibili, dunque impressive come avrebbe detto Itten, spingendo a scorgere una certa vena di naturalistica che persiste in queste tele. 

Il giallo è il colore dominante; in alcuni dipinti di formato più sostenuto si dilata fino ad assumere il valore di fondo, architettato da una gestualità che consente all’artista di tenersi distante da qualsiasi cedimento verso i lidi della “pittura-pittura”, restando, invece, fedele ad una matrice propria di quell’astrazione post-informale che pervade l’Italia degli anni Sessanta. 

Rispetto a quest’ultima la giovane artista attiva uno scatto, se pur minimo, che ci consente di poter scorgere le inflessioni di quel desiderio di pittura incuneatosi nella cultura italiana sul finire degli anni Settanta e che ha segnato il decennio successivo. 

Per De Angelis ciò si evidenzia in una pittura intesa come pratica di liberazione propositiva, in tal senso, di nuove relazioni che l’individuo intrattiene con il mondo, fino a tradurre gestualità che interpretano il quotidiano, iterando così uno schema che, solitamente, dispone su un piano immaginario blu, macchie rosse, verdi, ma anche gialle e rosa con bave filamentose, gocciolanti che vanno ad animare una sorta di “paesaggi”. 

Questi ultimi hanno, lo si intende bene, poco a che fare con l’idea di “paesaggio”, anche se conservano l’impronta di una visione o di un’impressione che si afferma nella luminosità che pervade le atmosfere di queste tele. Ferdinando Creta nella nota critica che accompagnava la mostra tenuta nel 2008 a Benevento, già sollecitava 

a guardare in tale direzione, interrogandosi sulla validità di un procedere che “partendo dalla natura” approda “a forme che si avvicinano più ai sensi, a forme che il figurativo non riesce a vedere.” Aggiungendo che “l’artista elabora tavole cromatiche usufruendo di molteplici inflessioni, i corpi sono plastici ma lontani da pose stereotipate.” 

Della natura Francesca De Angelis indaga essenzialmente la luce che diviene materia di un colore che distorce ogni evidenza figurale, ogni contorno che potrebbe riportarci all’origine del suo processo astrattivo. È un colore che, scrive Paola Consorti “si compone di materia ed energia, sviluppandosi su tutta la superficie come una grande area colorata.” Con esso organizza nuovi registri immaginativi entro i quali si dispongono soggetti – suggeriti come suggestioni analogiche – che ci riportano a corpi, com’è stato per i dipinti esposti nella citata mostra di Benevento e oggi a paesaggi, in un movimento che fa dondolare lo sguardo tra la città e la natura.

 Nei lavori recenti l’impronta ottico-percettiva ha fatto spazio ad insorgenze di natura spirituale, ad inquadrature che riflettono delimitazioni soggettive: nello spazio acceso dal colore disposto con una libertà e secondo un equilibrio soggettivo, oggi trovano posto segni che rimandano ad una scrittura intima, avvolti da un’energia carica di valori simbolici.




Irruenti luminosita'

Massimo Bignardi presenta e descrive la pittura della De Angelis

Il dato che maggiormente connota le ultime esperienze di Francesca De Angelis è la capacità di aver affidato ad  una tavolozza ristretta a pochi colori il compito di costruire spazi profusi da un’intensa luminosità. Registri cromatici dettati da una sintassi che attinge a piene mani da sollecitazioni espressionistiche, decisamente di memoria fauve, ove il colore risponde a sollecitazioni ottico-sensibili, dunque impressive come avrebbe detto Itten, spingendo a scorgere una certa vena di naturalistica che persiste in queste tele. 

Il giallo è il colore dominante; in alcuni dipinti di formato più sostenuto si dilata fino ad assumere il valore di fondo, architettato da una gestualità che consente all’artista di tenersi distante da qualsiasi cedimento verso i lidi della “pittura-pittura”, restando, invece, fedele ad una matrice propria di quell’astrazione post-informale che pervade l’Italia degli anni Sessanta. 

Rispetto a quest’ultima la giovane artista attiva uno scatto, se pur minimo, che ci consente di poter scorgere le inflessioni di quel desiderio di pittura incuneatosi nella cultura italiana sul finire degli anni Settanta e che ha segnato il decennio successivo. 

Per De Angelis ciò si evidenzia in una pittura intesa come pratica di liberazione propositiva, in tal senso, di nuove relazioni che l’individuo intrattiene con il mondo, fino a tradurre gestualità che interpretano il quotidiano, iterando così uno schema che, solitamente, dispone su un piano immaginario blu, macchie rosse, verdi, ma anche gialle e rosa con bave filamentose, gocciolanti che vanno ad animare una sorta di “paesaggi”. 

Questi ultimi hanno, lo si intende bene, poco a che fare con l’idea di “paesaggio”, anche se conservano l’impronta di una visione o di un’impressione che si afferma nella luminosità che pervade le atmosfere di queste tele. Ferdinando Creta nella nota critica che accompagnava la mostra tenuta nel 2008 a Benevento, già sollecitava 

a guardare in tale direzione, interrogandosi sulla validità di un procedere che “partendo dalla natura” approda “a forme che si avvicinano più ai sensi, a forme che il figurativo non riesce a vedere.” Aggiungendo che “l’artista elabora tavole cromatiche usufruendo di molteplici inflessioni, i corpi sono plastici ma lontani da pose stereotipate.” 

Della natura Francesca De Angelis indaga essenzialmente la luce che diviene materia di un colore che distorce ogni evidenza figurale, ogni contorno che potrebbe riportarci all’origine del suo processo astrattivo. È un colore che, scrive Paola Consorti “si compone di materia ed energia, sviluppandosi su tutta la superficie come una grande area colorata.” Con esso organizza nuovi registri immaginativi entro i quali si dispongono soggetti – suggeriti come suggestioni analogiche – che ci riportano a corpi, com’è stato per i dipinti esposti nella citata mostra di Benevento e oggi a paesaggi, in un movimento che fa dondolare lo sguardo tra la città e la natura.

 Nei lavori recenti l’impronta ottico-percettiva ha fatto spazio ad insorgenze di natura spirituale, ad inquadrature che riflettono delimitazioni soggettive: nello spazio acceso dal colore disposto con una libertà e secondo un equilibrio soggettivo, oggi trovano posto segni che rimandano ad una scrittura intima, avvolti da un’energia carica di valori simbolici. 




Uno Sguardo all'autore

Massimo-Bignardi-ph.-A.-Cerzosimo

Massimo Bignardi è docente di Storia dell’arte contemporanea e di Arte ambientale e architettura del paesaggio presso l’Università di Siena ove ha diretto, per diversi anni, la Scuola di Specializzazione in Beni storico artistici. Sull’argomento di recente ha pubblicato i volumi Praticare la città. Arte ambientale, prospettive della ricerca e metodologie d’intervento (2013) e Casciello. I “luoghi” dell’arte (2015) e ha collaborato alla raccolta di saggi Arte, città, territorio (2016).

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