Francesca De Angelis

Uno sguardo all'autore

marziani

Gianluca Marziani (Milano, 1970) vive tra Roma e Ibiza. Dagli anni Novanta è ideatore e curatore di mostre d’arte contemporanea. Dopo aver diretto per dieci anni Palazzo Collicola Arti Visive a Spoleto, ha appena fondato, assieme a Stefano Antonelli, SAM Street Art Museum, il primo museo italiano dedicato alle culture ed espressioni urbane. Con Antonelli si occupa di Banksy in maniera scientifica e strutturata: un libro (Giunti, Rizzoli Publishing) uscito in oltre 25 nazioni, circa 30 mostre realizzate e una quindicina di cataloghi monografici, oltre ad un’uscita del libro in tre volumi con il Corriere della Sera e un calendario, sempre col Corriere, in uscita per il 2024. Ha fondato, sempre con Antonelli, la scuola RNARoma New Art Academy e la collana editoriale Matsutake Books Lab. Ha collaborato con il Festival dei Due Mondi per nove edizioni e con la Biennale di Venezia Arte nel 2011. Ha diretto la Fondazione Rocco Guglielmo. Ha curato il Premio Terna e il Premio Celeste. Ha scritto numerosi saggi, monografie e cataloghi tematici. Ha insegnato allo IED di Roma e in molteplici seminari accademici. Ha collaborato con “La Stampa”, “Specchio”, “Panorama”, “Style”, “Numéro”, “L’Espresso”, oltre ad aver scritto per Flash Art e molte altre riviste d’arte. Tiene una rubrica su Dagospia dal titolo “Un Marziani a Roma”. Per i tipi di Red Star Press è in uscita il suo libro “L’arte raccontata ai bambini”.

EPIDERMIDE A COLORI

a cura di Gianluca Marziani

Prendiamo un ipotetico artista X che scelga il codice linguistico della pittura. Il Quadro diventa la registrazione sublimata del suo rapporto con gli accadimenti reali. La superficie si trasforma nel diaframma tra l’esperienza via e il raccoglimento metafisico del dipingere. Segno, materia e colore si mescolano così in modi ogni volta personali, determinando una predilezione che talvolta si trasforma in stile, la cosidetta personalità che distingue quel dato codice pittorico. Non pensiate, però che il timbro d’autore appartenga solo ai maestri riconosciuti, al contrario riguarda chiunque metta in sintonia l’esperienza del reale con la metabolizzazione iconografica del vero. Il nostro artista X potrebbe essere genericamente figurativo o astratto, a determinarne lo stile ( che può sustistere a prescindere dalla qualità) non conterà il tema ma il modo di gestire gli usi manuali. Anche perchè non bisogna dimenticare quanto sia cerebrale ed emotiva la pittura, quanto persino lo stato d’animo e l’esperienza privata, quanto l’estetica sia una strana somma di fenomeni invisibili. 

Spesso capita di vedere autori di media fattura con una personalità impressionante, proprio perchè le ragioni dell’urgenza espressiva superano le strutture del talento. Inutile negarlo, la pittura è ancora il linguaggio più semplice e al contempo più complesso, indefinibile e instabile sismografo emotivo che rivela il potenziale inesauribile della veggenza creativa. Nessuna decadenza davanti al suo peregrinare tra secoli e luoghi lontani: la poesia delle immagini fisse trova sul quadro il privilegio della preziosità universale, del puro onirico, dell’esperanto visivo. Potenza attiva in quiete bidimensionale e molto mentale. Adesso passiamo da un ipotetico artista X ad un soggetto in carne ed ossa.

 Gli incroci del destino ci conducono da Francesca De Angelis con la sua espressività dalla natura astratta (benchè sia ormai difficile parlare di astrazioni davanti ad una figurazione che richiama scienze, sperimentazioni, filosofie). Diciamo che la sua consistenza pittorica rivela una predilezione per lo sfaldamento del reale, ciò che nei fatti riporta ai maestri degli anni Cinquanta, a quanti nel colore trovavano la risposta catartica alle violenze del mondo. Si pensi ad Emilio Vedova, Afro, Jackson Pollock, Arshile, Gorky, Willem de Kooning, Giulio Turcato, Gastone Novelli, Cy Twombly…sarebbero molti altri i nomi da citare, fermiamoci a qualche capo saldo e varchiamo la soglia del presente con quelle radici in testa. 

Dentro la De Angelis convivono le nature controverse dell’astrazione, il canto e il controcanto dell’informale ma anche la tensione verso figurazioni sottese, nascoste ma mai completamente sopite. Qualcosa di iconico tenta l’emersione dal suolo lavico delle sue astrazioni: echi di figure umane, dettagli organici, rive erotiche e derive sessuali, posture e posti….si fanno sentire in lontananza, sottotraccia come ossessivi rumori di fondo che legano il colore alla natura del vero. Accade nel suo mondo ciò che le radici riconfermano da decenni: non esiste astrazione senza figurazione, non esiste indefinito senza ancoraggi al finito, non esiste sogno senza sangue.

E’ il colore la vera natura della De Angelis, il suo sangue ossigenante e refrigerativo. Ogni opera si condensa per respiri cromatici che prendono volumi diversi, una specie di geografia spirituale in cui la pittura predilige il contrasto estetico delle campiture. La costruzione del quadro tende ad esasperare le differenze cromatiche, a forzare le convivenze tra moduli caldi e freddi, tra implosioni silenziose ed esplosioni vitalizzanti. In realtà il contrasto crea una convivenza sanata, dando quiete ipnotica alle fenditure, agli sgocciolamenti, alle sciabolate, ai grumi…

La pittura conferma il suo ruolo atavicodi esercizio psicoanalitico, un enorme spazio emotivo e sensoriale che accoglie le fasi (ri)produttive di un autore. A regolare il viaggio interiore è, appunto, il colore con le sue gamme estremamente diversificate. Una scala dal bianco e nero che prevede le molteplici variazioni fredde e calde, non dimenticando le mescolanze intermedie che danno ai toni il valore del dettaglio sentimentale.

Visioni evocative che si cibano di astrazione e si pongono davanti al fruitore come la quiete dopo la tempesta. Avete presente quel momento in cui, durante il crepuscolo, spunta il sole tra le nubi nere di un temporale appena terminato? La pittura della De Angelis mi fa pensare a quella sensazione proustiana, alla violenza placata delle nuvole gonfie in cui si incuneano il giallo, l’arancio, il viola, il rosa, il rosso. I quadri sono continue infiltrazioni di colore dentro il colore, una sorta di flusso concentrico che compatta le pennellate nel campo magnetico della superficie. La pittura parla di natura ed emozioni, mettendo in scena l’azione cromatica dei sentimenti, degli stati d’animo, delle piccole e grandi ossessioni. 

L’artista si parcellizza nei singoli quadri ma usa l’astrazione come un silenzioso diario evocativo. I quadri sono le sue giornate, i suoi appunti, le annotazioni felici o malinconiche, le scoperte, le sorprese, le delusioni…La Pittura onfrma ancora una volta se stessa (radici e futuro fusi assieme) e narra una vita ( Francesca De Angelis) in forma di colore.

Epidermide a colori

a cura di Gianluca Marziani

Prendiamo un ipotetico artista X che scelga il codice linguistico della pittura. Il Quadro diventa la registrazione sublimata del suo rapporto con gli accadimenti reali. La superficie si trasforma nel diaframma tra l’esperienza via e il raccoglimento metafisico del dipingere. Segno, materia e colore si mescolano così in modi ogni volta personali, determinando una predilezione che talvolta si trasforma in stile, la cosidetta personalità che distingue quel dato codice pittorico. Non pensiate, però che il timbro d’autore appartenga solo ai maestri riconosciuti, al contrario riguarda chiunque metta in sintonia l’esperienza del reale con la metabolizzazione iconografica del vero. Il nostro artista X potrebbe essere genericamente figurativo o astratto, a determinarne lo stile ( che può sustistere a prescindere dalla qualità) non conterà il tema ma il modo di gestire gli usi manuali. Anche perchè non bisogna dimenticare quanto sia cerebrale ed emotiva la pittura, quanto persino lo stato d’animo e l’esperienza privata, quanto l’estetica sia una strana somma di fenomeni invisibili. 

Spesso capita di vedere autori di media fattura con una personalità impressionante, proprio perchè le ragioni dell’urgenza espressiva superano le strutture del talento. Inutile negarlo, la pittura è ancora il linguaggio più semplice e al contempo più complesso, indefinibile e instabile sismografo emotivo che rivela il potenziale inesauribile della veggenza creativa. Nessuna decadenza davanti al suo peregrinare tra secoli e luoghi lontani: la poesia delle immagini fisse trova sul quadro il privilegio della preziosità universale, del puro onirico, dell’esperanto visivo. Potenza attiva in quiete bidimensionale e molto mentale. Adesso passiamo da un ipotetico artista X ad un soggetto in carne ed ossa.

 Gli incroci del destino ci conducono da Francesca De Angelis con la sua espressività dalla natura astratta (benchè sia ormai difficile parlare di astrazioni davanti ad una figurazione che richiama scienze, sperimentazioni, filosofie). Diciamo che la sua consistenza pittorica rivela una predilezione per lo sfaldamento del reale, ciò che nei fatti riporta ai maestri degli anni Cinquanta, a quanti nel colore trovavano la risposta catartica alle violenze del mondo. Si pensi ad Emilio Vedova, Afro, Jackson Pollock, Arshile, Gorky, Willem de Kooning, Giulio Turcato, Gastone Novelli, Cy Twombly…sarebbero molti altri i nomi da citare, fermiamoci a qualche capo saldo e varchiamo la soglia del presente con quelle radici in testa. 

Dentro la De Angelis convivono le nature controverse dell’astrazione, il canto e il controcanto dell’informale ma anche la tensione verso figurazioni sottese, nascoste ma mai completamente sopite. Qualcosa di iconico tenta l’emersione dal suolo lavico delle sue astrazioni: echi di figure umane, dettagli organici, rive erotiche e derive sessuali, posture e posti….si fanno sentire in lontananza, sottotraccia come ossessivi rumori di fondo che legano il colore alla natura del vero. Accade nel suo mondo ciò che le radici riconfermano da decenni: non esiste astrazione senza figurazione, non esiste indefinito senza ancoraggi al finito, non esiste sogno senza sangue.

E’ il colore la vera natura della De Angelis, il suo sangue ossigenante e refrigerativo. Ogni opera si condensa per respiri cromatici che prendono volumi diversi, una specie di geografia spirituale in cui la pittura predilige il contrasto estetico delle campiture. La costruzione del quadro tende ad esasperare le differenze cromatiche, a forzare le convivenze tra moduli caldi e freddi, tra implosioni silenziose ed esplosioni vitalizzanti. In realtà il contrasto crea una convivenza sanata, dando quiete ipnotica alle fenditure, agli sgocciolamenti, alle sciabolate, ai grumi…

La pittura conferma il suo ruolo atavicodi esercizio psicoanalitico, un enorme spazio emotivo e sensoriale che accoglie le fasi (ri)produttive di un autore. A regolare il viaggio interiore è, appunto, il colore con le sue gamme estremamente diversificate. Una scala dal bianco e nero che prevede le molteplici variazioni fredde e calde, non dimenticando le mescolanze intermedie che danno ai toni il valore del dettaglio sentimentale.

Visioni evocative che si cibano di astrazione e si pongono davanti al fruitore come la quiete dopo la tempesta. Avete presente quel momento in cui, durante il crepuscolo, spunta il sole tra le nubi nere di un temporale appena terminato? La pittura della De Angelis mi fa pensare a quella sensazione proustiana, alla violenza placata delle nuvole gonfie in cui si incuneano il giallo, l’arancio, il viola, il rosa, il rosso. I quadri sono continue infiltrazioni di colore dentro il colore, una sorta di flusso concentrico che compatta le pennellate nel campo magnetico della superficie. La pittura parla di natura ed emozioni, mettendo in scena l’azione cromatica dei sentimenti, degli stati d’animo, delle piccole e grandi ossessioni. 

L’artista si parcellizza nei singoli quadri ma usa l’astrazione come un silenzioso diario evocativo. I quadri sono le sue giornate, i suoi appunti, le annotazioni felici o malinconiche, le scoperte, le sorprese, le delusioni…La Pittura onfrma ancora una volta se stessa (radici e futuro fusi assieme) e narra una vita ( Francesca De Angelis) in forma di colore.

Uno Sguardo all'autore

marziani

Gianluca Marziani (Milano, 1970) vive tra Roma e Ibiza. Dagli anni Novanta è ideatore e curatore di mostre d’arte contemporanea. Dopo aver diretto per dieci anni Palazzo Collicola Arti Visive a Spoleto, ha appena fondato, assieme a Stefano Antonelli, SAM Street Art Museum, il primo museo italiano dedicato alle culture ed espressioni urbane. Con Antonelli si occupa di Banksy in maniera scientifica e strutturata: un libro (Giunti, Rizzoli Publishing) uscito in oltre 25 nazioni, circa 30 mostre realizzate e una quindicina di cataloghi monografici, oltre ad un’uscita del libro in tre volumi con il Corriere della Sera e un calendario, sempre col Corriere, in uscita per il 2024. Ha fondato, sempre con Antonelli, la scuola RNARoma New Art Academy e la collana editoriale Matsutake Books Lab. Ha collaborato con il Festival dei Due Mondi per nove edizioni e con la Biennale di Venezia Arte nel 2011. Ha diretto la Fondazione Rocco Guglielmo. Ha curato il Premio Terna e il Premio Celeste. Ha scritto numerosi saggi, monografie e cataloghi tematici. Ha insegnato allo IED di Roma e in molteplici seminari accademici. Ha collaborato con “La Stampa”, “Specchio”, “Panorama”, “Style”, “Numéro”, “L’Espresso”, oltre ad aver scritto per Flash Art e molte altre riviste d’arte. Tiene una rubrica su Dagospia dal titolo “Un Marziani a Roma”. Per i tipi di Red Star Press è in uscita il suo libro “L’arte raccontata ai bambini”.

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